Non saprei dire esattamente quale sia stato il momento in cui mi sono resa conto delle mie tendenze poetiche; ma ero ancora una ragazza e spesso, all’improvviso, mi nascevano versi delicati come fiori. Seguendo l’esempio dei classici che studiavo, davo voce alle mie esigenze di adolescente malinconica e inguaribilmente romantica. Ma la vita mi chiamava a doveri più importanti e a prove più ardue e così, per anni, ho dimenticato di fissare sulla carta le mie emozioni tutta proiettata verso una realtà che volevo felice.
La felicità, però, è solo un attimo e la vita restante è prosaica e monotona, pur nella complessità delle forme e delle esperienze.
Così, anni dopo, sono rientrata nel mio guscio di sogni e sensazioni, ritrovando una realtà interiore più soddisfacente (e forse più vera) di quella esteriore. Feci leggere i miei brani al mio preside di allora, che mi stroncò; ma subito dopo, a conferma di quanto fosse ingiusto il suo giudizio, vinsi il I° concorso letterario e pubblicai il mio I° libro. Da allora ho continuato a scrivere, nella presunzione di avere qualcosa da comunicare o di avere comunque delle competenze apprezzabili.
Alla scrittura ho poi aggiunto l’amore per la musica e per il canto (un’altra mia passioncella giovanile). Il gorgheggiare della mia voce su note più acute mi sembra talvolta una preghiera che vola in alto alla ricerca di una maggiore spiritualità e ciò mi gratifica enormemente.
“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” (D. Alighieri – La Divina Commedia – Inferno: vv. 119-120).